“L’architettura è l’arte di dare riparo agli uomini, ma risponde anche ai loro sogni e alle loro aspirazioni. (…) Si potrebbe dire che l’architettura racconta delle storie, lo fa in maniera meno diretta di cinema e letteratura, ma lo fa. In architettura il mondo pragmatico del fare e quello immaginifico si confondono.” 

Le parole di Renzo Piano del libro “Atlantide, Viaggio alla ricerca della bellezza”, ci offrono spunti per una riflessione sul senso del costruire e sul nostro lavoro, la cui aspirazione più grande non è forse quella di combinare il mondo pragmatico, del fare, con quello creativo?

Il libro di Carlo e Renzo Piano racconta di un viaggio dell’architetto e di suo figlio che, partendo dal porto di Genova, affrontano un lungo viaggio in mare. Sullo sfondo degli oceani, sempre uguali e sempre mutevoli, i protagonisti cercano Atlantide, la città sognata, forse esistita, che incarna la perfezione dello spazio abitato. Per trovarla “Renzo Piano  ritorna nei luoghi in cui ha costruito le sue opere, naviga con suo figlio nel mezzo del Pacifico, sulle rive del Tamigi e della Senna, raggiunge Atene, il Golden Gate Park di San Francisco e la Baia di Osaka. Cercando la bellezza, definita dall’Architetto “non solo senso estetico ma forza generatrice del progresso”, trova l’imperfezione che ogni progetto porta con sé”. Su ogni opera architettonica è possibile riconoscere il passare del tempo ed i segni che questo ha impresso su di essa, conservandone i passaggi più significativi: dunque, come il tempo, essa stessa è un elemento mutevole seppur immobile.

Si può quindi parlare di perfezione in uno spazio architettonico? Un progetto è la messa in atto della visione dell’architetto che sceglie, attraverso la sua sensibilità, quali esigenze di una “comunità” soddisfare. Essendo dunque l’origine progettuale una scintilla contraddittoria e soggettiva, come si può giudicare un’opera architettonica “perfetta”, se al quadro esistenziale si aggiunge anche il concetto di “estetica”?

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